
Anche un’attività relativamente recente come la SEO ha già una sua storia e una sua evoluzione e, a un certo punto, i SEO copywriter si sono trovati davanti a un bivio: scegliere tra creare contenuti di valore, con una prospettiva di lungo termine, oppure adottare strategie manipolative per ottenere risultati immediati. Il problema è che molti di loro hanno trascurato un aspetto decisivo: Google non è più neutrale, e orienta il gioco a favore di chi produce contenuti realmente utili.
In questo articolo parleremo di un aspetto molto importante per chi fa SEO Copywriting, ovvero di tutte quelle pratiche a cui Google strizza l’occhio, chiamate White Hat SEO e di quelle che, al contrario, considera manipolatorie e, di conseguenza, non ammette più.
Se non hai mai approfondito l’argomento prendi nota: questa potrebbe essere una guida utile per destreggiarti nell’intricato e affascinante mondo della SEO.
Big G non ha sempre privilegiato i contenuti originali, ben scritti e di qualità. Possiamo affermare che c’è stato un passaggio, assolutamente significativo e impattante sulle serp, dai fattori quantitativi a quelli qualitativi.
Se dovessimo riassumere com’è cambiato il pensiero di Google negli ultimi vent’anni, potremmo definire tre momenti:
Volendo approfondire con una cronologia evolutiva di Google rispetto alla qualità dei contenuti, ecco gli anni salienti di questo cambio di rotta:
Obiettivo: ridurre la visibilità di siti con contenuti duplicati, superficiali o di scarsa qualità (es. “content farm”). Si tratta del primo grande segnale che Google voleva premiare la qualità reale. L’annuncio ufficiale viene rilasciato nel blog ufficiale di Google.
Obiettivo: contrastare spam e link manipolativi (schemi di link, keyword stuffing aggressivo). Questo cambiamento ha reso sempre più rischioso puntare su tattiche a breve termine. Anche in questo caso l’ufficialità della decisione presa viene da un documento ufficiale nel blog Google per sviluppatori.
Obiettivo: introdurre una comprensione semantica migliore delle query (non solo corrispondenza di keyword). Con l’algoritmo Hummingbird, rilasciato appunto nel 2013, l’intento è quello di avere meno focus su keyword density, e più attenzione al significato e all’intento dell’utente. In altre parole, la priorità viene data al contesto e al significato delle ricerche, piuttosto che alle singole parole chiave.
Obiettivo: interpretare query complesse e migliorare i risultati di ricerca. Entrano in gioco machine learning e intelligenza artificiale per un ulteriore passo avanti verso la comprensione del linguaggio naturale, riducendo l’efficacia del keyword stuffing. Rankbrain è l’algoritmo basato sull’apprendimento automatico che aiuta il motore di ricerca a restituire risultati sempre più pertinenti.
Obiettivo: colpire siti che trattavano argomenti delicati (Your Money or Your Life) senza autorevolezza. Il 1° agosto 2018 l’algoritmo di Google vede un importante aggiornamento, che influenza il ranking dei siti, in particolare di quelli che trattano temi legati alla salute e al benessere. Il nome con cui lo battezza Google è piuttosto generico (broad core algorithm update), ma in realtà si tratta di un’evoluzione tutt’altro che banale, dal momento cheha reso evidente il concetto di E-A-T (Expertise, Authoritativeness, Trustworthiness).
Obiettivo: premiare contenuti “people-first”, creati per utenti reali e non solo per i motori. Siamo di fronte a una dichiarazione esplicita del nuovo paradigma: realizzare contenuti pensati per le persone, premiando quelli con cui i visitatori ritengono di aver avuto un’esperienza soddisfacente. Se ne parla qui.
Obiettivo: introdurre “Experience” come nuovo criterio (oltre a competenza e autorevolezza). Questa novità rafforza l’idea che i contenuti devono provenire da fonti affidabili e con esperienza diretta. Google spiega i criteri usati dai “quality raters” (valutatori umani) e come concetti come Experience / Expertise / Authoritativeness / Trustworthiness (ora E-E-A-T) informano lo sviluppo degli algoritmi. Queste linee guida sono un importante indicatore di cosa Google considera “qualità”.
Quindi sì: fino a poco più di dieci anni fa Google “tollerava” — o meglio, non riusciva a contrastare bene — il keyword stuffing e altre tecniche a breve termine. È per questo che molti SEO copywriter hanno preso quella strada: era facile, non prevedeva particolari abilità di scrittura e funzionava davvero.
Che esista, quindi, un approccio ‘buono’ e uno ‘cattivo’ per affrontare la SEO e il posizionamento dei contenuti in Google lo avrai capito. Quello che forse ancora non sai è il perché le pratiche dell’uno o dell’altro approccio prendano il nome di White Hat e Black Hat. I termini derivano direttamente dal gergo dei vecchi film western americani, in cui i cattivi indossavano il cappello nero e i buoni quello bianco (personaggi come Frank Miller o Calvera, The Lone Ranger o Will Kane, per intenderci).
Il confronto tra white hat SEO e black hat SEO non è solo tecnico: è etico, strategico e spesso determinante per la sopravvivenza di un progetto digitale. Ora vedremo cosa sono queste due anime della SEO, come riconoscerle, esempi concreti, rischi e come riprendersi da eventuali penalizzazioni. Alla fine dell’articolo trovi checklist operative, strumenti per monitorare e consigli per costruire una strategia sostenibile.
White hat SEO indica l’insieme di pratiche conformi alle linee guida dei motori di ricerca e orientate a fornire valore reale agli utenti: contenuti utili, buona esperienza di navigazione, architettura del sito corretta e un approccio trasparente al link building. L’obiettivo è una crescita organica sostenibile, e reputazione del brand nel lungo periodo. Le linee guida ufficiali di Google e i suoi documenti per webmaster sono la bussola per questo approccio.
Se hai deciso di consolidare il tuo posizionamento senza rischiare di essere penalizzato, ecco le tecniche che devi conoscere e iniziare ad applicare:
Ricerca keyword approfondita e uso naturale delle parole chiave
La base di ogni strategia SEO sostenibile è capire come e cosa cercano i tuoi potenziali clienti. Una ricerca keyword meticolosa permette di identificare i termini più rilevanti in base all’intento (informativo, transazionale, navigazionale). Nella scrittura, le keyword vengono integrate in modo naturale e semantico, senza forzature: ciò consente di rispondere alle domande reali delle persone e di essere premiati dai motori di ricerca.
Consiglio pratico: scrivi una delle parole chiave che riguardano la tua attività nella barra di ricerca di Google e vai a leggere il riquadro People also ask (Le persone hanno chiesto anche). I tuoi contenuti dovrebbero dare una risposta naturale alla maggior parte delle domande che Google ti suggerisce in questa sezione.
Contenuti originali, approfonditi e aggiornati (people-first)
Google valorizza testi, ma anche immagini e video, che offrono reale utilità, approfondimento e freschezza. Il principio people-first significa scrivere per le persone, non per l’algoritmo: articoli completi, ben strutturati, arricchiti con esempi, dati e fonti affidabili. Anche l’aggiornamento periodico è importante, perché i contenuti datati perdono rilevanza.
Ottimizzazione tecnica
Un sito ben costruito è più facile da scansionare e indicizzare. Tra gli aspetti fondamentali rientrano:
Link building “white”
A differenza del black hat, che prevede l’acquisto o lo scambio manipolativo di link, il white hat si concentra sul “guadagnare” menzioni spontanee e link naturali. Come? Attraverso:
Questo approccio crea una rete di link più solida e duratura.
Uso corretto dei dati strutturati (schema.org)
I dati strutturati forniscono a Google e agli altri motori informazioni aggiuntive sul contenuto delle pagine (recensioni, eventi, prodotti, FAQ, ricette…). Se implementati correttamente, consentono di ottenere rich snippets nei risultati di ricerca, aumentando visibilità e CTR, senza manipolare l’algoritmo.
Come anticipato stare dalla parte ‘buona’ della SEO presenta notevoli vantaggi. Hai certamente un minor rischio di penalizzazioni manuali o algoritmiche, in quanto Google capisce che stai davvero cercando di crescere senza trucchetti. Puoi ottenere un incremento stabile del traffico organico e un miglioramento dell’autorevolezza del dominio. E, last but not least, garantirai una migliore user experience e, di conseguenza, tassi di conversione più alti.
Come vedi si tratta di un percorso più tortuoso e impegnativo, ma quello che ti aspetta alla fine è decisamente più premiante e appagante.
Passiamo ora a capire il lato oscuro della SEO, ovvero la black hat SEO. Si tratta in sostanza dell’insieme di tattiche progettate per manipolare i motori di ricerca, e ottenere posizioni elevate rapidamente, spesso violando le linee guida. Tecniche di questo tipo possono dare risultati rapidi, ma comportano alto rischio: penalizzazioni manuali, de-indexing e perdita di traffico. Google e altri motori hanno policy chiare, che identificano e sanzionano questi abusi.
Ecco gli esempi più comuni:
È la pratica di inserire parole chiave in modo eccessivo e innaturale, spesso con ripetizioni forzate o liste di keyword inserite nel testo, nei meta tag o persino nascoste nel codice. In passato funzionava, ma oggi Google penalizza questi contenuti perché riducono la qualità dell’esperienza utente e non offrono un reale valore informativo.
Consiste nel mostrare contenuti diversi ai crawler di Google rispetto a quelli che vedono gli utenti. Ad esempio, un sito potrebbe mostrare un testo ottimizzato per keyword ai bot, ma un contenuto del tutto diverso (o persino spam) agli utenti. È una violazione diretta delle linee guida, perché mira a ingannare il motore di ricerca.
Sono pagine create esclusivamente per posizionarsi su query specifiche e poi reindirizzare l’utente verso un’altra pagina. Queste pagine non hanno contenuto utile autonomo e servono solo a manipolare il ranking. Google le definisce espressamente come pratica spam.
I link schemes comprendono l’acquisto massivo di backlink, lo scambio artificiale di link o l’uso di reti di siti (PBN) creati solo per linkarsi tra loro. Questi sistemi cercano di manipolare l’autorità di un sito, ma Google li individua sempre meglio, con conseguente rischio di penalizzazione o deindicizzazione.
L’uso di testi creati automaticamente (con software o scraper) o la semplice aggregazione/riassunto di contenuti altrui, senza alcun apporto originale, rientrano nelle pratiche di spam. Google richiede che i contenuti abbiano un chiaro valore per l’utente; quelli “vuoti” o ridondanti vengono penalizzati.
Le tecniche di black hat SEO hanno spesso un’apparente efficacia, soprattutto nel breve periodo. Questo accade perché riescono a sfruttare:
Nessun algoritmo è perfetto: Google aggiorna costantemente i propri sistemi, ma ci possono essere momenti in cui pratiche manipolative (keyword stuffing, link spam, PBN, doorway pages) riescono a ottenere visibilità prima che vengano intercettate.
Non tutte le penalizzazioni sono immediate: Google può impiegare settimane o mesi a individuare schemi sospetti di link o contenuti duplicati. In quel lasso di tempo, il sito può apparire ben posizionato, inducendo a credere che la strategia funzioni.
Nel breve termine, l’aumento di traffico organico o la scalata in SERP possono sembrare un successo. Tuttavia, si tratta spesso di un “fuoco di paglia”: i risultati non sono sostenibili e possono crollare da un giorno all’altro.
Come accade spesso nella vita, in cui non sempre è tutto bianco o tutto nero, anche in ambito SEO devi sapere che esiste una zona intermedia, la gray hat SEO, appunto. Questa terra di mezzo include tattiche non apertamente proibite ma borderline: ad esempio, la costruzione di link tramite guest post non dichiarati, o l’uso di contenuti semi-automatizzati con supervisione limitata. Sono strategie rischiose: se l’algoritmo cambia o emergono manual actions, paghi.
Molte agenzie discutono sul confine etico e pratico del gray hat; la regola pratica è valutare rischi e impatto reputazionale prima di agire.

Google ha documentato molte pratiche considerate spam e/o dannose: cloaking, keyword stuffing, link schemes, doorway pages, contenuti sottili o copiati e così via. I segnali arrivano da algoritmi automatici e da segnalazioni umane (quality raters, spam reports). Le penalizzazioni possono essere: declassamento algoritmico, penalità manuale (manual action) o de-indexing completo. E ti assicuriamo che ricostruire la reputazione del dominio diventa difficile e richiede mesi (se non anni).
È fondamentale monitorare gli strumenti ufficiali (Google Search Console) per notifiche e rapporti manuali. Quello che possiamo dirti è che al giorno d’oggi è difficile farla franca e, sinceramente parlando, dal nostro punto di vista è più soddisfacente lavorare ‘pulito’, e godere dei risultati ottenuti grazie a una buona strategia e a una reale expertise.
Considera le pratiche black hat come il doping nelle competizioni sportive: rappresenta un rischio per la salute e per le penalizzazioni nel caso in cui l’atleta venga scoperto. E poi: vuoi mettere salire sul podio grazie a un allenamento costante e mirato piuttosto che per merito di sostanze non ammesse?
È chiaro che l’avvento di LLM e AI generative impone nuove attenzioni, ma non cancella la distinzione tra white e black hat. I contenuti generati automaticamente possono essere utili se curati e verificati, ma se prodotti in massa senza controllo rischiano di rientrare nella categoria di “contenuti di bassa qualità” o duplicati — quindi penalizzabili.
Le best practice rimangono: valore per l’utente, verifica delle fonti, esperienza diretta - quando possibile - e trasparenza su autore e aggiornamenti. L’AI per la scrittura di contenuti può rappresentare una risorsa potente, a patto che sia affiancata da revisione editoriale umana. Quindi può servirti per accelerare la produzione, non per sostituire del tutto il tuo contributo. La regola generale rimane comunque il rispetto dei principi di Google: originalità, valore, accuratezza e trasparenza.
Caso A — Black hat che fallisce
Un e-commerce acquista pacchetti di backlink da una rete PBN per scalare rapidamente. Dopo 3 mesi, un aggiornamento algoritmico rileva il pattern di link non naturali: traffico in picchi seguiti da un -70% organico e penalità manuale. Recupero: disavow massivo, rimozione link a pagamento, revisione contenuti e richiesta di reconsideration — processo lungo e costoso.
Caso B — White hat che vince
Un blog verticale costruisce una serie di approfondimenti originali (guide pratiche con dati proprietari e interviste ad esperti). Promuove i contenuti tramite PR e community, guadagnando link naturali e segnali social. Traffico organico e autorevolezza crescono stabilmente: posizioni robuste e minori impatti da aggiornamenti algoritmici.
In mercati molto competitivi, le pressioni di management su risultati rapidi possono spingere verso scorciatoie. Alcuni fattori che potrebbero convincerti a un utilizzo di pratiche di black hat:
La risposta strategica: educare stakeholder sui rischi, presentare forecast realistici e proporre test controllati su tecniche lecite che possano accelerare i risultati (es. ottimizzazione tecnica, content refresh mirati, campagne PR).
Riassumendo quello che ti abbiamo spiegato sopra, ecco una checklist per verificare se stai procedendo privilegiando pratiche white hat:
Le penalità SEO, come abbiamo già visto, possono derivare da interventi manuali di Google (Manual Actions) oppure da aggiustamenti automatici dovuti ad algoritmi come Panda, Penguin o aggiornamenti più recenti legati alla qualità dei contenuti e dell’esperienza utente. Riconoscere subito i segnali e agire in modo mirato è fondamentale per ridurre i danni e tornare a crescere.
Calo drastico e improvviso di traffico organico
Una perdita repentina di visite da Google, spesso concentrata in pochi giorni, è uno dei segnali più chiari. Diverso da un normale calo stagionale o da variazioni graduali.
Avviso di manual action in Google Search Console
Se Google rileva pratiche scorrette (come link innaturali, cloaking o spam), lo comunica direttamente tramite Search Console. Questo è il caso più trasparente: sai con certezza di avere una penalità manuale.
Rimozione o de-indicizzazione di pagine importanti
Quando pagine fondamentali spariscono dall’indice o non vengono più mostrate nei risultati di ricerca, può indicare una penalità oppure un problema tecnico che va distinto e verificato.
Verifica la Search Console
Controlla la sezione dedicata alle “Azioni manuali” e i messaggi ricevuti. È il primo passo per capire se il problema è dovuto a un intervento manuale o a fattori algoritmici.
Esegui un audit completo
Analizza in profondità:
Correggi le pratiche scorrette
Usa lo strumento Disavow (solo se necessario)
Se non riesci a rimuovere manualmente link tossici da siti spam, utilizza lo strumento di disconoscimento link di Google. È una misura estrema, da applicare con cautela.
Richiedi una reconsideration (solo per manual actions)
Dopo aver risolto i problemi, invia una richiesta di riconsiderazione a Google. Spiega in modo trasparente le azioni intraprese e mostra impegno a rispettare le linee guida.
Costruisci una strategia a lungo termine
Oltre al rischio di penalità, ci sono questioni di reputazione e potenziali implicazioni legali: pratiche come la creazione di contenuti fuorvianti o la manipolazione fraudolenta possono danneggiare clienti e utenti e aprire contenziosi in casi estremi (es. false recensioni o affermazioni ingannevoli).
Tieni in considerazione che ci sono anche settori che necessitano di essere maggiormente attenzionati: la compliance e la trasparenza sono indispensabili soprattutto in ambito YMYL (salute, finanza, legale).
Come detto all’inizio di questo articolo, la SEO è una questione di scelte. La white hat SEO è un investimento su reputazione, stabilità e valore per l’utente. La black hat può sembrare veloce ma è rischiosa e spesso distruttiva.
In un panorama in cui algoritmi, quality raters e strumenti di analisi evolvono continuamente, la strategia più solida resta quella che unisce contenuti di qualità, fondamenta tecniche solide e pratiche etiche di promozione. Se costruisci autorevolezza oggi raccoglierai vantaggi anche in futuro, inclusa la maggiore rilevanza nell’ecosistema AI e conversazionale.
Se vuoi possiamo parlarne e capire la migliore strategia per il tuo posizionamento. Contattaci e raccontaci il tuo progetto: lo faremo decollare con una SEO ad hoc.