Da tanto ci impegniamo per far capire ai nostri clienti quanto sia importante la responsiveness dei loro siti e e-commerce. Ma forse oggi abbiamo una motivazione più persuadente per convincere che è un argomento con cui non si può più scherzare: una decisione di Google che non tutti, probabilmente, hanno colto.
Iniziamo facendo un’introduzione doverosa.
Nel panorama digitale odierno sappiamo ormai che gli utenti accedono ai contenuti online attraverso una varietà di dispositivi con diverse dimensioni di schermo e risoluzioni. In questo contesto, la responsiveness di un sito web non è solo un lusso, ma una necessità critica.
Nell’ultimo Global Digital Report di We Are Social vengono riportati i dati di GSMA Intelligence, secondo i quali, a inizio 2024, il numero di utenti unici da mobile nel mondo è arrivato a 5.61 miliardi, con un aumento di 138 milioni dall’inizio del 2023. Va da sé che questo incremento esponenziale nell'uso dei dispositivi mobili ha trasformato radicalmente il modo in cui le persone accedono al web e consumano contenuti online. Gli utenti mobile-friendly sono decisamente più numerosi, e questo è un dato di fatto, e la user experience dovrebbe rappresentare un'esperienza gratificante e senza interruzioni a prescindere dal dispositivo che utilizzano. Ebbene, troppe volte non è così.
Ma come influisce la responsiveness sulla SEO (Search Engine Optimization) di un sito internet? Vediamo come l’adattabilità dei contenuti web sia ormai considerata imprescindibile per migliorare non solo l’esperienza utente ma anche il posizionamento di un sito sui motori di ricerca.
La responsiveness, o design web responsivo, è un vero e proprio approccio di progettazione, che ha come obiettivo quello di creare siti web in grado di adattarsi automaticamente alla dimensione di qualsiasi schermo, all'orientamento e alla piattaforma del dispositivo utilizzato dall'utente. Questo significa che un sito web responsive offrirà un'esperienza utente ottimale sia su un desktop con un grande schermo, sia su uno smartphone con uno schermo molto più piccolo. Un’agenzia di digital marketing dovrebbe poter garantire UI diverse, ciascuna dedicata alla tipologia di device che l’utente utilizzerà, con un occhio di riguardo nei confronti degli smartphone.
Oggi la complessità nella progettazione dei siti web è aumentata proprio per la grande varietà di device presenti sul mercato, con la conseguente necessità che un contenuto web debba adattarsi a una sempre maggiore quantità di display e schermi.
Si parla quindi di vero e proprio design responsive, che sarebbe riduttivo e decisamente sbagliato definire semplicemente come grafiche che si adattano alle dimensioni dei supporti. I criteri da considerare sono invece molteplici e consistono in:
Layout fluidi: ovvero layout che utilizzano unità relative come percentuali per definire le dimensioni degli elementi, permettendo loro di adattarsi proporzionalmente alle dimensioni dello schermo.
Immagini adattive: immagini che vengono ridimensionate e ottimizzate per diversi schermi, garantendo tempi di caricamento rapidi e un'esperienza visiva ottimale.
Media Queries CSS: interrogazioni che consentono di applicare stili diversi a seconda delle caratteristiche del dispositivo, come la larghezza dello schermo o la densità dei pixel.
Tipografia flessibile: font e dimensioni del testo che si adattano per garantire leggibilità su tutti i dispositivi.
La crescente dipendenza dai dispositivi mobili a cui abbiamo assistito negli ultimi anni ha reso la responsiveness non solo un plus, ma un elemento cruciale per qualsiasi sito web. Esistono alcuni dati chiave che evidenziano questa tendenza, tra tutti il comportamento degli utenti, per cui secondo Google, il 61% è meno propenso a tornare su un sito mobile se ha avuto difficoltà ad accedervi, e il 40% visita il sito di un concorrente.
Anche per gli e-commerce il ragionamento è simile. Le vendite da dispositivi mobili rappresentano una percentuale crescente del totale delle vendite online per la stragrande maggioranza delle piattaforme, tanto da parlare oggi di mobile commerce. Ignorare l'ottimizzazione su smartphone può comportare la perdita di una parte significativa del mercato, a beneficio di competitors più attenti alla questione.
Quello che forse non vi hanno mai spiegato bene è la correlazione tra responsiveness e SEO. L’adattabilità del vostro sito web o e-commerce a tutti i display e il posizionamento nella serp di Google sono direttamente proporzionali. Se la prima funziona influisce positivamente sul secondo.
Vediamo nel dettaglio in che modo.
La mobile-friendliness è diventata un fattore di ranking ufficiale per Google. Un sito responsivo ha maggiori probabilità di posizionarsi più in alto nei risultati di ricerca rispetto a uno non ottimizzato.
I motori di ricerca cercano di fornire i migliori risultati possibili agli utenti. Un sito responsivo offre un'esperienza utente superiore, di conseguenza più visite da parte degli utenti, più tempo trascorso sulla piattaforma, che può tradursi in un miglior posizionamento.
Un sito non ottimizzato può portare gli utenti ad abbandonarlo rapidamente. Un alto bounce rate può influenzare negativamente il ranking SEO, poiché è visto come un segnale di contenuti non pertinenti o di bassa qualità.
Un sito web responsivo, come abbiamo visto, migliora significativamente l'esperienza utente (UX), che è un fattore critico non solo per la soddisfazione dell'utente, ma anche per la SEO. Anzitutto la navigazione deve essere più che mai intuitiva. Su dispositivi mobili, si sa, lo spazio è limitato, quindi il design deve garantire che il menu e gli elementi di navigazione siano facilmente accessibili e utilizzabili.
In secondo luogo i contenuti devono essere facilmente leggibili senza necessità di dover zoomare per riuscire a captare tutto il testo. Diventa quindi fondamentale la scelta di font adeguati e di una spaziatura appropriata per migliorare il grado di leggibilità. L’interazione deve essere touch-friendly: ovvero pulsanti e link si presentano con dimensioni adeguate e ben distanziati per evitare clic involontari.
Un'esperienza utente positiva non solo mantiene gli utenti sul sito più a lungo, ma aumenta anche la probabilità di conversioni, sia che si tratti di vendite, iscrizioni o richieste di informazioni.
Un altro aspetto fondamentale, di cui parliamo nella sezione apposita del nostro sito, è rappresentato dalla velocità di caricamento delle pagine. Il tempo che un utente impiega a visualizzare correttamente i contenuti web è un fattore cruciale sia per l'esperienza utente che per la SEO. I siti responsive devono essere ottimizzati per caricare rapidamente su tutti i dispositivi, quindi devono presentare un’ottimizzazione delle immagini, sia in termini di dimensioni sia per quanto concerne la risoluzione.
Anche lato programmazione ci sono alcuni accorgimenti essenziali da considerare. La minimizzazione del codice, per esempio, permette di ridurre e combinare file CSS e JavaScript, diminuendo così il numero di richieste HTTP e la dimensione complessiva della pagina. Anche l’implementazione del caching consente ai browser di caricare più rapidamente le pagine già visitate.
Secondo Google, il 53% degli utenti abbandona un sito mobile se il caricamento richiede più di 3 secondi. Un sito veloce non solo migliora la soddisfazione dell'utente, ma è anche premiato dai motori di ricerca.
Nel 2018 Google ha annunciato che avrebbe iniziato a utilizzare la versione mobile dei siti per l'indicizzazione e il ranking. Questo significa che da allora i siti non ottimizzati per i dispositivi mobili, hanno rischiato di non essere indicizzati correttamente, influenzando di conseguenza negativamente anche il posizionamento.
Ma è di pochi mesi fa la notizia che rappresenta la vera rivoluzione: a partire dal 5 luglio di quest’anno i siti non accessibili da mobile, non saranno più indicizzati, quindi non più visibili tra i risultati in serp. Lo ha annunciato ufficialmente John Muller, Search advocate di Google in un articolo di blog dedicato, rivelando chiaramente l’obiettivo di Big G: privilegiare una navigazione quasi completamente orientata all’esperienza mobile.
Vediamo nel dettaglio cosa significa questa decisione.
Google utilizza due web crawler differenti, chiamati genericamente Googlebot. Si tratta di software spider che simulano l’esperienza utente su desktop (Googlebot desktop) e su dispositivo mobile (Googlebot mobile), e sono i mezzi di cui si serve Google per eseguire la scansione delle pagine del web. L’approccio mobile-first, un processo iniziato 8 anni fa, fa sì che quasi tutte le richieste di scansione di Googlebot venga effettuata oggi con il crawler mobile.
Va da sé, quindi, che l’accessibilità mobile diventa un imperativo: se i contenuti di un sito web non risultano accessibili da uno smartphone dalla scansione effettuata dal software spider di Google, il sito non comparirà più nei risultati di ricerca, a prescindere dalla qualità dei suoi contenuti e da quanto siano rilevanti rispetto alle query degli utenti.
Ora che vi abbiamo elencato i motivi principali per cui, se non lo avete ancora fatto, è arrivato il momento di accelerare il passaggio alla responsivness, vi segnaliamo alcune buone pratiche che possono aiutare a mettere in pratica un design adatto allo scopo e, al tempo stesso, gli errori più comuni da evitare.
Gli errori più comuni da evitare sono invece:
Come avrai capito la responsiveness non è solo una questione tecnica, ma una componente strategica fondamentale per il successo online. Investire tempo e risorse per ottimizzare il tuo sito web anche da questo punto di vista è un passo essenziale per avere una presenza online efficace e competitiva. Vuoi scoprire se il tuo sito web è realmente responsive? Ecco come fare.
Apri il sito da verificare e dal menu di navigazione nella parte alta del tuo desktop trascina la tab del sito al centro del tuo schermo. Dovresti vedere una finestra come questa:
A questo punto posizionati con il cursore del mouse sul limite destro della finestra e, una volta che compaiono le due freccine, trascina verso sinistra fino a dove ti è consentito. Il risultato dovrebbe essere questo:
Questa è la versione mobile del tuo sito, quindi esplorando i contenuti ti renderai conto se sono perfettamente fruibili, e se sono state applicate tutte le regole che ti abbiamo descritto in questo articolo.
Hai ancora dubbi? Hai notato che la tua versione mobile presenta delle criticità? Contattaci per una consulenza e scopriremo insieme come rendere il tuo sito perfettamente responsive 😉
Tempo di lettura: 7 minutiDiteci che non avete pensato almeno per un momento che il dissing di cui tanto si parla non rappresenti una grande e riuscita operazione di marketing.
Beh se davvero l’idea non vi ha minimamente sfiorato vi diamo qualche numero: quasi 110.000 follower in più per Niky Savage, + 50.000 circa per Fedez (che era in perdita nei mesi precedenti), oltre 260.000 per Tony Effe. E se parliamo di visualizzazioni delle performance tanto chiacchierate i dati lasciano proprio immaginare che questa battaglia a suon di barre non l’abbia persa nessuno. Anzi. Il video di Tony Effe del format 64 Barre di Red Bull ha generato 2 milioni di views, mentre quello di Fedez è primo in tendenze su YouTube con oltre 3 milioni di visualizzazioni.
Verrebbe quasi da immaginare i due rivali a cena insieme, che se la ridono e brindano al successo alla faccia di tutti i fan indignati e schierati chi per uno, chi per l’altro.
Il dissing può essere una strofa o un intero brano che ha come obiettivo quello di insultare e denigrare un altro artista. Spesso è preceduto da un beef, una situazione problematica e di screzi che può sfociare, appunto, in dissing e talvolta trasformarsi in una vera e propria faida tra rapper.
In realtà i beef più famosi hanno coinvolto intere fazioni, come quello tra East e West Coast, che ha visto le due parti in causa indirizzarsi addirittura intimidazioni e assumere connotati talmente violenti da concludersi con un episodio tragico: la morte di Tupac e Notorious B.I.G., uccisi rispettivamente dalla fazione rivale.
l dissing può effettivamente essere considerato una grande operazione di marketing nel mondo della musica, specialmente nel rap e nell'hip-hop. Sebbene nasca come espressione genuina di rivalità o disaccordo tra artisti, spesso viene utilizzato strategicamente per attirare l'attenzione del pubblico e dei media, generando interesse e aumentando la popolarità di tutti i soggetti coinvolti.
Cosa garantisce un dissing ben orchestrato e promosso a dovere?
Le faide pubbliche creano buzz mediatico. I media tendono a coprire le rivalità tra artisti, dando loro maggiore esposizione.
I fan si schierano, discutono sui social media e seguono attentamente gli sviluppi, aumentando l'engagement e la viralità dei contenuti.
La curiosità spinge le persone ad ascoltare le tracce coinvolte nel dissing, incrementando lo streaming e le vendite.
Una rivalità crea una storia avvincente che può mantenere l'interesse del pubblico nel tempo.
Tutti elementi che lasciano proprio pensare a un’operazione studiata a tavolino, che arreca evidenti vantaggi a entrambe le fazioni in gara. ‘Nel bene o nel male purché se ne parli’. Non importa quanto dissacranti e offensivi siano i testi, né tanto meno quanto possano gettare in cattiva luce la controparte. Il fine giustifica i mezzi, mai come in questa guerra.
Jay-Z vs. Nas: La loro faida ha alimentato discussioni per anni, aumentando le vendite dei loro album e consolidando la loro posizione nella scena musicale. Nei primi anni 2000, questi due giganti del rap newyorkese si sono scambiati una serie di dissing attraverso brani come "Takeover" (Jay-Z) e "Ether" (Nas). La rivalità ha messo in luce le loro abilità liriche e ha avuto un impatto significativo sulla scena hip-hop.
Eminem vs. Machine Gun Kelly: La loro disputa ha generato milioni di visualizzazioni su YouTube e ha dominato le conversazioni online, beneficiando entrambi gli artisti in termini di visibilità. Una disputa più recente, iniziata nel 2018, che ha visto i due rapper scambiarsi frecciate in canzoni come "Rap Devil" (MGK) e "Killshot" (Eminem).
Drake vs. Pusha T: Questo scontro ha creato un enorme interesse mediatico, con canzoni che hanno scalato le classifiche grazie all'attenzione ricevuta.
La storia del dissing è strettamente legata all'evoluzione della cultura hip-hop, nata nei quartieri di New York negli anni '70. Il termine "dissing", appartenente a uno slang afro-americano, deriva da "disrespecting" e si riferisce a un insulto o a una critica diretta verso un'altra persona, spesso espressa attraverso testi musicali. Questa pratica è diventata una componente fondamentale del rap, dove gli artisti utilizzano le parole per affermare la propria superiorità artistica o per rispondere a provocazioni.
Le origini del dissing possono quindi essere rintracciate nelle battaglie rap (rap battles), dove gli MC (Master of Ceremonies) si sfidavano in competizioni verbali improvvisate. Queste battaglie erano un modo per dimostrare abilità liriche, creatività e presenza scenica. Il dissing, in questo contesto, era uno strumento per guadagnare rispetto e prestigio all'interno della comunità hip-hop.
Nessuno ha inventato nulla. Le competizioni verbali e i duelli a colpi di frecciatine sono storia antica. I Playing the Dozens rappresentano una tradizione afroamericana, in cui i partecipanti si scambiavano insulti in rima in modo giocoso, spesso coinvolgendo membri della famiglia per aumentare la posta in gioco. Così come i Flyting, pratica scozzese e inglese del XV e XVI secolo, consistente in duelli verbali poetici pieni di insulti e provocazioni.
E come non ricordare che nel Medioevo, i trovatori e i menestrelli si sfidavano in tenson o partimen, veri e propri dibattiti poetici dove mettevano alla prova le proprie abilità letterarie.
Infine, autori come Jonathan Swift e Voltaire utilizzavano la satira per criticare e deridere avversari politici o intellettuali, creando opere che univano l'arte letteraria alla critica sociale.
Insomma il dissing non è di certo cosa nuova. Nuovi – e in qualche caso decisamente allarmanti – sono invece i contenuti dei testi che vi si leggono. Ma non siamo di certo qui per entrare nel merito di considerazioni morali o per scandalizzarci per gli epiteti che si ripetono in quelli che sono diventati, al di là di tutto, fenomeni sociali a tutti gli effetti.
Oltre ai già citati esempi, ci sono stati altri dissing passati alla storia per l’impatto mediatico che hanno avuto.
Una delle rivalità più celebri nella storia dell'hip-hop. Il brano "Hit 'Em Up" di Tupac è uno dei dissing più noti, dove l'artista attacca direttamente Biggie e la scena East Coast, alimentando la faida tra East e West Coast negli anni '90.
Una lunga faida che ha portato a numerosi dissing da entrambe le parti, influenzando le rispettive carriere e la scena rap dell'epoca. Celebre ormai è l’attività sul profilo Instagram di 50 Cent che ha dichiarato con un post “Ho appena comprato 200 biglietti in prima fila – per un concerto di Ja Rule - per farli restare vuoti LOL.”
Un lungo dissing con lieto fine, dal momento che ha portato poi a una collaborazione per un album. Ricordiamo una delle strofe più dissacranti che ‘the great white hope’ (come Snoop definisce il collega) rivolge al rivale:
«Last thing I need is Snoop doggin’ me / Man, Dogg, you was like a (Yeah) damn god to me / Nah, not really (Haha) / I had dog backwards»
“L’ultima cosa di cui ho bisogno è che Snoop faccia il cane rabbioso con me / Amico, eri un cazzo di Dio per me /Nah, in realtà no / ho solo scritto per sbaglio “Dog” al contrario”.
Non sono mancate le querelle all’italiana, che hanno visto coinvolti diversi artisti del nostro panorama musicale. Come quella di Fabri Fibra vs. Vacca. I due artisti, che erano inizialmente collaboratori, hanno poi iniziato a scontrarsi pubblicamente per una serie di incomprensioni personali e professionali. Con ‘Il diavolo non esiste’ e ‘Venerdì 17’ hanno dato vita a una faida che è durata diversi anni, con scambi di frecciate sia attraverso i testi dei loro brani sia sui social media.
Altro celebre duello a suon di strofe è quello tra Marracash e Luchè. Nel 2019, tensioni artistiche hanno portato a un confronto tra i due rapper. Il rapper siciliano punzecchia il collega napoletano con alcuni riferimenti nel suo album "Persona” Luchè risponde attraverso storie su Instagram e interviste.
Tra tutti i dissing che hanno avuto un risvolto anche in termini di visibilità, ma che sono stati generati da ideali più nobili, è degno di nota quello tra Kendrick Lamar e Drake. Lo scontro tra i due ha stimolato, infatti, un dibattito più ampio sulla direzione dell'hip-hop, mettendo in luce temi come l'integrità artistica, la commercializzazione e l'evoluzione del genere. Kendrick è spesso associato a un approccio più lirico e concettuale, mentre Drake è noto per la sua versatilità e l'abilità nel creare hit mainstream.
La battaglia rap tra i due artisti, quindi, è motivata da ragioni meno banali di quelle che normalmente alimentano i beef, troppo spesso risultati di azioni e strategie perpetrate da un’industria musicale ben lontana da qualsiasi velleità ideologica. Il caso di Drake e Kendrick ha invece tutte le sembianze di una diatriba che supera le differenze tra i due rapper, traducendosi in una querelle che trova le sue radici in una vera e propria guerra intestina e da due visioni diametralmente opposte nella community dell’hip hop.
Il fenomeno del dissing, un po’ come abbiamo visto per i meme, non è solo un'espressione culturale radicata nella musica e nei social media, ma è diventato anche un potente strumento di instant marketing. Le aziende più lungimiranti sfruttano la natura virale e l'attenzione immediata che il dissing può generare per creare contenuti che risuonano con il pubblico in tempo reale. Questo connubio tra dissing e marketing istantaneo evidenzia come le strategie di comunicazione si stiano evolvendo, abbracciando le tendenze contemporanee per stabilire connessioni più profonde e autentiche con i consumatori, e rivelando come una conoscenza approfondita degli ultimi trend possa fare, mai come oggi, la differenza.
Tempo di lettura: 5 minuti"La maggior parte dei problemi del mondo sono dovuti a questioni di grammatica"
Forse un po’ eccessivo il filosofo Michel de Montaigne, che addirittura indica gli errori grammaticali come i responsabili di molti problemi del mondo. Ma ci saranno diversi copywriter, quelli di vecchia scuola soprattutto, che staranno annuendo compiaciuti nel leggere la citazione.
Di certo non è l’unico tra i personaggi illustri a esprimere un pensiero così forte, basti pensare che Fernando Pessoa attribuisce la fortuna di un popolo allo stato della sua grammatica.
Se poi entriamo nel merito della punteggiatura, la questione si fa ancora più spinosa. Perché si sa, i congiuntivi sbagliati o l’omissione di una h o di un apostrofo scandalizzano ancora – fortunatamente diremmo noi – i più. Ma una virgola o, ancor più, un punto e virgola? Che sarà mai. In un’epoca in cui, nelle conversazioni su Whatsapp, si leggono sempre più frequentemente righe di testo senza un segno di interpunzione - domande senza punto interrogativo, frasi di senso compiuto senza un punto a dividerle – davvero possiamo pensare che la punteggiatura abbia ancora tutta questa importanza?
Senza andare a scomodare Paul Watzlawick e uno dei suoi assiomi della comunicazione, basterebbe cercare in rete per trovare innumerevoli esempi di come, anche una banalissima virgola possa cambiare, se non addirittura stravolgere, il significato di una frase.
Giornata difficile da dimenticare.
Giornata difficile, da dimenticare.
Così, giusto per fare un esempio.
Abbiamo divagato, ma ci piace contestualizzare. E ora che abbiamo ricordato quanto sia essenziale saper utilizzare correttamente anche la punteggiatura, di cui molti pare abbiano dimenticato l’esistenza, torniamo al topic di questo articolo: gli errori grammaticali incidono sulla SEO?
Già leggendo il titolo di questo paragrafo la risposta alla domanda sopra dovrebbe essere scontata. In realtà, fino a qualche anno fa, gli esperti non erano tutti unanimi nel pensare che gli errori grammaticali potessero influenzare negativamente la SEO e, di conseguenza, il posizionamento di un sito web nella Serp di Google. A dissipare ogni dubbio è stato John Mueller, Search Advocate di Google, dichiarando che ortografia e grammatica hanno un peso nel ranking delle pagine.
Questo ha a che fare non solo con la comprensibilità di un testo, ma anche con la qualità del contenuto, che a oggi è uno dei fattori più importanti per il successo di un sito web. Tra i vari elementi che influenzano la SEO, infatti, sappiamo bene ormai che testi ben scritti e topic ben argomentati piacciono a Google, quindi va da sé che gli errori grammaticali possono avere un impatto notevolmente negativo in termini di posizionamento.
Vediamo nel dettaglio i motivi per cui scrivere un testo che presenta errori ortografici e grammaticali può essere penalizzante.
Il primo aspetto da considerare è l'esperienza dell'utente (UX). Un contenuto pieno di errori grammaticali può essere difficile da leggere e da comprendere, riducendo di conseguenza la soddisfazione dell'utente. Google e altri motori di ricerca danno grande importanza alla qualità dell'esperienza dell'utente. Se un utente visita un sito web e lo trova difficile da leggere per svariati motivi tra cui gli errori grammaticali, è probabile che abbandoni il sito rapidamente. Questo comportamento può aumentare la frequenza di rimbalzo (bounce rate), un segnale negativo per Google, che può portare a un peggioramento del posizionamento nei risultati di ricerca.
Inoltre, un sito web con contenuti pieni di errori grammaticali può perdere credibilità agli occhi degli utenti. Immaginate un blog informativo che presenta numerose inesattezze e strafalcioni: chi sta cercando informazioni e le trova scritte male, quale opinione potrà farsi dell’autore e, di conseguenza dell’intero sito? La fiducia è un fattore chiave per il successo online, e un testo mal scritto può far dubitare della professionalità dell'azienda o del brand, portando gli utenti a cercare informazioni altrove. I motori di ricerca tengono conto di questi segnali, e la mancanza di trust da parte degli utenti può tradursi in un ranking inferiore.
I motori di ricerca come Google utilizzano algoritmi avanzati per analizzare e comprendere il contenuto delle pagine web. Sebbene gli algoritmi siano molto sofisticati, gli errori grammaticali possono rendere difficile l'interpretazione corretta del contenuto. Una grammatica scorretta può portare a malintesi sul significato del testo, influenzando negativamente la capacità dei motori di ricerca di identificare correttamente le parole chiave e il contesto del contenuto. Questo può causare una riduzione della pertinenza del sito per determinate query di ricerca e, di conseguenza, un peggioramento del posizionamento.
Linkereste mai un contenuto scritto male e pieno di strafalcioni al vostro sito? La risposta è alquanto ovvia. Il link building, ossia l'acquisizione di link in entrata da altri siti web, è un aspetto cruciale della SEO offsite e chiaramente i contenuti ben scritti e privi di errori grammaticali sono più propensi a essere condivisi e citati da altri siti web. Al contrario, se il contenuto è pieno di errori, è meno probabile che venga considerato degno di condivisione o di collegamento. Questo può ridurre significativamente le opportunità di ottenere link di qualità, che sono fondamentali per migliorare l'autorità del dominio e il posizionamento nei motori di ricerca.
Evitare gli errori grammaticali si può. Partiamo da alcune considerazioni. La grammatica italiana è complessa e alcune regole cambiano nel tempo. Come tutte le lingue vive, anche la nostra subisce mutazioni che non sempre si conoscono. Inoltre le nuove generazioni mostrano sempre più lacune dal punto di vista sintattico, ortografico e grammaticale. Senza entrare nel merito dei motivi di questo impoverimento generale - anche se certamente le nuove tecnologie e i nuovi mezzi di comunicazione hanno notevolmente contribuito – quello che è sotto gli occhi di tutti è che lo scrivere bene è sempre più prerogativa di pochi.
Ciò detto per evitare che gli errori grammaticali danneggino la SEO, è possibile adottare alcuni accorgimenti:
E' banale, lo sappiamo, ma è bene ricordarlo. Prima di pubblicare qualsiasi contenuto, assicuratevi di rileggerlo attentamente o di farlo rileggere da un'altra persona per individuare e correggere eventuali errori. Un suggerimento da copy: leggere al contrario, partendo dall’ultima parola e risalendo nel testo. Questo fa sì che il testo perda di significato e che quindi le parole vengano lette con maggiore attenzione.
Esistono numerosi strumenti online, come il controllo ortografico integrato in molti editor di testo, che possono aiutarvi a identificare e correggere gli errori grammaticali. Tra tutti consigliamo Language Tool un’estensione Chrome che è un correttore multilingue di grammatica, stile e ortografia.
Se la scrittura non è il vostro forte, considerate l'idea di affidarvi a un copywriter professionista o un editor per assicurarvi che i vostri contenuti siano impeccabili.
Se avete dubbi o incertezze sulla qualità dei vostri testi, contattateci per una consulenza e vi daremo i consigli giusti per creare i contenuti più adatti al vostro progetto.
Tempo di lettura: 14 minutiDiciamocelo francamente: meme sta a social network come Goku sta a Super Sayan di III livello. È la versione pro di un feed che funziona e puoi anche non usarli nel tuo piano organico social, ma rischi di perdere in partenza tutti quei follower che ormai non si accontentano più di post classici triti e ritriti, e snobbano i profili più insipidi e meno divertenti. È un’evoluzione del modo di comunicare su questi media dove, si sa, chi rimane indietro è perduto. Oggi come oggi, su una piattaforma come Instagram o Tik Tok, l’utilizzo dei meme con cognizione di causa ti permette di vincere la sfida del profilo anonimo e senza appeal. Nello scrolling brutale e senza pietà della maggior parte degli utenti, il meme può salvarti e catturare l’attenzione anche del fruitore più annoiato.
Nati come semplici immagini con testo sovrapposto, i meme non solo sono diventati una delle forme più influenti e pervasive di comunicazione digitale, ma un vero e proprio fenomeno culturale globale, in grado di plasmare opinioni, influenzare tendenze e, soprattutto, creare vere e proprie community online.
Ma come e perché i meme diventano virali? E quali sono gli esempi più emblematici di questo fenomeno? Vediamo insieme la loro storia ed evoluzione fino ad oggi.
I meme, nella loro forma attuale, sono un fenomeno strettamente legato alla cultura di internet e al mondo digitale. Tuttavia, le loro radici sono più profonde, e risalgono a concetti culturali e sociali ben precedenti all'avvento del web. Per comprenderne appieno la portata e l'influenza sui social network, è utile ripercorrerne la storia, dalla loro nascita come concetto teorico fino all'evoluzione in strumento di comunicazione di massa.
Il termine "meme" è stato introdotto per la prima volta dal biologo evoluzionista Richard Dawkins, etologo e divulgatore scientifico, nel suo libro del 1976, Il gene egoista. Dawkins definì il meme come una "unità di trasmissione culturale", un elemento che si diffonde da persona a persona attraverso l'imitazione (il termine deriva dal greco antico "mimeomai”, imitare), simile a come i geni trasmettono informazioni biologiche. L'idea era che, così come i geni sono soggetti a selezione naturale, anche i meme culturali sono soggetti a un processo di selezione che determina quali idee, comportamenti o pratiche culturali sopravvivono e si diffondono.
Questo concetto di meme era originariamente astratto e teorico, ma gettò le basi per comprendere come certi pensieri e modi di agire potessero diffondersi rapidamente all'interno di una società. Con l'avvento di internet, il concetto di meme si è evoluto per descrivere i contenuti che vediamo oggi sui social media.
Con la nascita di internet negli anni '90, il termine "meme" ha iniziato a essere associato a immagini, video, frasi e altri contenuti che venivano condivisi online e che si diffondevano rapidamente attraverso la rete. I primi meme digitali includevano semplici immagini o brevi video, spesso accompagnati da testi umoristici o ironici.
Uno dei primi esempi di meme virali è Dancing Baby, noto anche come "Baby Cha-Cha", un'animazione 3D di un neonato che balla al ritmo di una canzone. Questo video è diventato virale alla fine degli anni '90, diffondendosi attraverso e-mail e primordiali piattaforme di condivisione, rappresentando uno dei primi fenomeni di cultura pop digitale.
Con l'ascesa dei social media agli inizi degli anni 2000, i meme hanno trovato terreno fertile per proliferare. Piattaforme come MySpace, Facebook, e successivamente Twitter, Reddit, Instagram, Twitter e Tik Tok hanno facilitato la creazione e la condivisione di contenuti virali, permettendo ai meme di raggiungere un pubblico globale in tempi brevissimi.
Durante questi anni, alcuni meme hanno raggiunto uno status iconico. Uno di questi è Rickrolling, un fenomeno iniziato nel 2007 quando gli utenti di internet iniziavano a essere ingannati a cliccare su un link, che apparentemente conduceva a un contenuto interessante, ma che invece portava al video musicale di Rick Astley "Never Gonna Give You Up". Questo meme non solo ha preso piede rapidamente, ma è diventato parte della cultura pop di quegli anni, tanto da essere riconosciuto anche al di fuori della sfera digitale.
Parallelamente, LOLcats, una serie di immagini di gatti con testi sovrapposti in inglese storpiato (chiamato "lolspeak"), è diventato un altro fenomeno virale, che ha dominato la scena per diversi anni, influenzando anche la nascita di siti dedicati come I Can Has Cheezburger?
Negli ultimi anni, i meme si sono evoluti ulteriormente, diventando più complessi e stratificati. Non si tratta più di semplici battute visive, comprensibili ai più, ma i più ironici e divertenti iniziano a includere riferimenti a eventi storici, fatti di cronaca, critiche sociali, o ironie politiche, rendendo la loro fruizione sempre più accessibile solo a utenti con un certo background culturale e livello di istruzione. Inoltre, l'adozione massiccia dei meme da parte di diverse fasce di età e culture ha portato alla creazione di sottoculture di meme, ciascuna con i propri stili, linguaggi e umorismi.
Un esempio di meme che ha raggiunto un alto livello di sofisticazione è il Doge, un'immagine di una cagnetta Shiba Inu (Kabosu, morta a 18 anni proprio a maggio di quest’anno) con testi in font Comic Sans che esprimono pensieri frammentati e spesso grammaticalmente scorretti. Originato nel 2013, il meme Doge ha influenzato non solo la cultura di internet ma anche il mondo delle criptovalute, con la creazione della Dogecoin.
Un altro esempio è Pepe the Frog, che è passato dall'essere un innocente fumetto a diventare un simbolo controverso, utilizzato in contesti politici estremi, fino a essere reclamato e riutilizzato in nuovi contesti più positivi dalla comunità online.
Oggi i meme non sono più confinati agli angoli di internet frequentati dai giovani o dagli appassionati di tecnologia, ma sono diventati parte integrante della cultura mainstream e strumenti potenti nel marketing digitale. Brand e aziende utilizzano i meme per connettersi con un pubblico giovane, per trasmettere messaggi in modo creativo e per cavalcare tendenze virali che possono amplificare la visibilità del loro marchio.
Tuttavia, come già detto, il successo dei meme nel marketing richiede una comprensione approfondita del loro contesto e un certo grado di cultura generale. Una conoscenza degli avvenimenti più importanti a livello socio-politico è di vitale importanza per evitare un uso improprio o forzato dei meme, che può risultare controproducente e portare a critiche da parte del pubblico. D’altronde il meme marketing può essere considerata una forma di instant marketing divertente, ma comprensibile solo a un pubblico realmente informato e al passo con i tempi.
Nonostante, come vedremo, i meme siano utilizzati in ambiti diversi e con finalità completamente differenti, ci sono alcune peculiarità che li contraddistinguono trasversalmente.
I meme devono essere facilmente comprensibili e trasmettere un messaggio in modo immediato. Questo li rende particolarmente adatti ai tempi frenetici dei social network.
I meme di successo spesso si basano su situazioni quotidiane, emozioni comuni o riferimenti alla cultura pop, rendendoli facilmente riconoscibili e condivisibili.
Un altro aspetto cruciale è la capacità di un meme di essere modificato e reinterpretato dagli utenti, generando così nuove versioni e ulteriori condivisioni che ne decretano la viralità.
Spesso i meme virali nascono in risposta a eventi di attualità, notizie o situazioni che catturano l'attenzione collettiva (come dicevamo vengono considerati una forma efficace di instant marketing)
Anche se non esiste nulla di scritto che regolamenta l’utilizzo di caratteri particolari per la creazione dei meme, i font che hanno preso piede e che vengono maggiormente utilizzati per la loro realizzazione sono Comic Sans MS, Arial, Montserrat, Myriad Pro ed Helvetica. Poi c’è il font meme per antonomasia, quello che abbiamo visto più spesso e che rimane il re indiscusso di questo fenomeno: l’Impact. Appartenente alla famiglia Sans Serif, caratterizzato dalla sua grande leggibilità per i bordi netti e ben definiti, è un font datato, iniziò ad essere utilizzato anni prima dell’avvento di Internet, ovvero a partire dal 1965, anno in cui il suo creatore (Geoff Lee) lo realizzò nel vero senso della parola, tagliando personalmente gli stampi di metallo per la sua creazione.
Nel corso degli anni, molti meme hanno raggiunto un livello di popolarità tale da diventare parte integrante della cultura di internet. Ecco alcuni esempi emblematici:
Distracted Boyfriend: Una delle immagini più riconoscibili sul web, questo meme mostra un ragazzo che guarda con interesse un'altra donna mentre la sua fidanzata lo osserva indignata. La foto è stata adattata in migliaia di varianti, utilizzata per rappresentare situazioni di distrazione o desiderio di cambiamento.
Success Kid: Un bambino con un'espressione trionfante e un pugno chiuso, utilizzato per illustrare piccoli successi quotidiani. Questo meme ha continuato a vivere negli anni, diventando simbolo di motivazione e perseveranza.
Woman Yelling at a Cat: Questo meme combina una scena di uno show televisivo, in cui una donna urla, con un’immagine di un gatto seduto a un tavolo, apparentemente confuso. È stato utilizzato per rappresentare discussioni assurde o fraintendimenti.
Giorgio Tsoukalos ("Aliens"): Diventato virale grazie alla sua apparizione in un documentario in cui spiegava eventi storici e misteriosi attribuendoli agli alieni, spesso è usato in modo ironico per indicare spiegazioni esagerate o poco plausibili.
Disaster Girl: Uno dei meme più inflazionati ritrae la piccola Zoe Roth in una foto scattata dal padre. La bambina osserva i vigili del fuoco che stanno cercando di estinguere un incendio vicino alla loro abitazione con un ghigno compiaciuto. La foto originale, tra l’altro, è stata venduta come Nft per un valore di 180 ether, (quasi 500mila dollari).
Hide the pain Harold: sicuramente uno dei più esilaranti, è la combinazione di un sorriso forzato con uno sguardo terribilmente triste. È il risultato di uno degli scatti con cui un fotografo in cerca di modelli per foto stock ha immortalato il signor Harold, rendendolo poi l’uomo anziano più virale per eccellenza.
Instagram, con la sua natura visiva e la facilità di condivisione, è una delle piattaforme principali per la diffusione dei meme. Ogni giorno, milioni di utenti creano, condividono e interagiscono con contenuti virali che riflettono l'umore del momento, eventi di attualità o semplicemente catturano l'ironia della vita quotidiana. Nel 2024, alcuni meme si sono distinti per la loro popolarità e capacità di risuonare con un vasto pubblico. Eccone alcuni.
Uno dei temi ricorrenti nei meme su Instagram riguarda il bilanciamento tra vita lavorativa e vita personale. Con l'aumento dello stress e la pressione legata al lavoro, molti utenti si rifugiano nell'umorismo dei meme per esprimere il loro disagio in modo ironico e condivisibile.
Monday Blues: i meme che raffigurano il disagio e la fatica di iniziare una nuova settimana lavorativa sono sempre molto popolari. Spesso, questi meme utilizzano immagini di personaggi esausti o sconcertati con didascalie che enfatizzano la frustrazione legata al lunedì mattina.
That Friday Feeling: al contrario, i meme che celebrano l'arrivo del venerdì e l'imminente fine settimana sono altrettanto diffusi. Questi meme sfruttano spesso immagini e GIF che esprimono euforia, sollievo e l’attesa del relax del weekend.
Negli ultimi anni, c'è stata una crescente consapevolezza riguardo alla salute mentale, e i meme su Instagram spesso riflettono questa tendenza. Gli utenti li utilizzano per affrontare argomenti come l'ansia, la depressione e lo stress in modo leggero ma empatico.
Relatable Anxiety: catturano momenti di ansia o comportamenti nevrotici in situazioni comuni. La loro popolarità risiede nel fatto che molti utenti si riconoscono in questi momenti, trovando conforto nell'umorismo condiviso.
Self-Care Checklists: sono quelli che promuovono la cura di sé stessi in modo ironico o sarcastico, spesso elencando attività come "non rispondere a email dopo le 18:00" o "prendersi una pausa dai social media", sono molto condivisi, soprattutto tra i giovani adulti.
Instagram è anche un hub per meme che si basano su riferimenti alla cultura pop, serie TV, film e musica. Questi meme sono popolari perché consentono agli utenti di esprimere la loro passione per determinati franchise o di commentare eventi culturali in modo umoristico.
Pedro Pascal Eating Sandwich: questo meme ha visto Pedro Pascal, attore molto amato, diventare protagonista di numerosi post in cui mangia un sandwich in modo apparentemente soddisfatto. La semplicità della scena viene utilizzata per rappresentare momenti di piccole gioie o situazioni ironiche.
The Last of Us Reactions: con l'uscita della serie The Last of Us, sono diventati virali su Instagram i meme che catturano le reazioni emotive degli spettatori agli episodi. Spesso, queste immagini sono accompagnate da testi che descrivono la sofferenza o l'euforia dei fan di fronte alle scene più intense.
Pablo Escobar Forever Alone: un altro fenomeno legato alla serie di successo Netflix Narcos e al suo protagonista, l’attore Wagner Moura ritratto solo in una scena di attesa solitaria.
Nel 2024, una tendenza emergente è quella dei meta-meme, cioè meme che commentano o parodiano altri meme, quasi sempre in modo ironico o satirico. Questa meta-comunicazione è apprezzata soprattutto dagli utenti più esperti di social media che sono in gradi di comprendere e di godere del gioco di riferimenti interni.
Meme-ception: riflettono sulla cultura dei meme stessa, commentando quanto certi formati o battute siano diventati inflazionati o banali. Sono spesso complessi e richiedono una certa familiarità con l'evoluzione dei meme per essere apprezzati pienamente.
NPC Meme: un formato di meme che rappresenta persone che si comportano in modo prevedibile o stereotipato, paragonandole a NPC (Non-Playable Character, personaggi non giocanti) dei videogiochi. È un modo per ironizzare su comportamenti standardizzati e poco originali, spesso in contesti sociali o di consumo.
Instagram è anche una piattaforma dove i post si intrecciano con la cronaca e la politica. Quando accade qualcosa di rilevante a livello globale, non passa molto tempo prima che compaiano i primi meme che riflettono o commentano l'evento.
AI Takeover Fears: Con l'aumento delle discussioni su intelligenza artificiale e automazione, sono diventati popolari i meme che giocano sulla paura o la confusione riguardo a un futuro dominato dalle macchine. Questi meme spesso mescolano umorismo e riflessione, toccando temi come la perdita di lavoro o l'invasione della privacy.
Inflation Struggles: Le preoccupazioni economiche, in particolare l'inflazione e l'aumento del costo della vita, sono state un tema caldo per i meme nel 2024. Questi meme utilizzano l'umorismo per affrontare le difficoltà finanziarie, con frasi come "Quando scopri che il caffè costa più della benzina" accompagnate da immagini ironiche.
Non sorprende che in un social come Instagram molti meme ruotino attorno alla moda, al beauty e alle tendenze virali del momento.
Quiet Luxury vs. Loud Luxury: si tratta dei meme che mettono a confronto la moda "quiet luxury" (dove i brand costosi sono riconoscibili solo da chi conosce) con il "loud luxury" (moda vistosa e riconoscibile da tutti). Spesso utilizzati per criticare o ridicolizzare l'ossessione per i brand di lusso, è un formato che cattura l’ironia sociale.
Skin Cycling: una tendenza nel beauty, il "skin cycling" ha generato molti meme, che giocano sulle complessità e la confusione che gli utenti provano nel seguire rigide routine di cura della pelle. Questi meme combinano umorismo e consigli di bellezza, rendendo il tema accessibile e divertente.
Ovviamente il fenomeno non ha risparmiato personaggi celebri del modo della tv, del cinema, dello sport, della musica e del giornalismo, che sono diventati protagonisti di alcuni tra i meme più divertenti e condivisi del web. Leonardo Di Caprio, Chuck Norris, Leonel Messi, Drake, ma anche Mara Maionchi, Maurizio Costanzo o Orietta Berti per citarne alcuni di italiana produzione: tutti fonti di ispirazione per un umorismo a volte dissacrante, ormai fenomeno dilagante in rete e non solo.
Come abbiamo visto i meme hanno attraversato un lungo percorso, evolvendosi da semplici concetti teorici a fenomeni culturali globali. La loro capacità di adattarsi ai cambiamenti della società e di internet suggerisce che continueranno a essere una forza dominante nell’ecosistema digitale, almeno per un po’.
Di certo nel mondo del digital marketing non c’è nulla, considerando l’evoluzione pazzesca a cui abbiamo assistito negli ultimi anni e la velocità con cui nuovi trend si affacciano sulla scena e si affermano imponendo nuovi diktat e correnti di pensiero. Possiamo affermare con una buona dose di convinzione che l'evoluzione delle tecnologie, come l'intelligenza artificiale e la realtà aumentata, daranno vita a nuove forme di interazione e, di conseguenza, a nuove forme di meme, con una sempre crescente complessità e un impatto sempre maggiore sulla comunicazione moderna.
Nel dubbio cavalchiamo ora l’onda del loro successo, integrando, dove possibile, un modo di raccontare più tradizionale e standard con qualche parentesi più ironica e divertente.
Vuoi dare una rinfrescata al tuo feed e renderlo più attrattivo per il tuo target? Vediamo insieme come farlo, raccontaci tutto qui.