Puoi farlo anche tu con l’AI (ovvero come mandare a puttane il tuo marketing).

Ilaria Rossetti
Ilaria Rossetti
marketing
02 Gen 2025
Tempo di lettura: 10 minuti
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Tempo di lettura: 10 minuti

Ti hanno proposto un corso di 8 ore per imparare a usare l’intelligenza artificiale e iniziare finalmente a occuparti in prima persona del tuo sito e del tuo marketing, e tu lo hai rifiutato?

Sappi che hai fatto bene.

E sappi anche che l’AI, a differenza di quello che molti ti fanno credere, non è come una macchina del caffè, in cui infili la cialda e fa tutto da sola. Né tanto meno una competenza da acquisire con un paio di tutorial online. L’intelligenza artificiale è una macchina, sì, ma che deve essere governata da qualcuno in grado di farlo, con formazione specifica e competenze tecniche pregresse nel settore in cui la si vuole applicare, altrimenti si rischia di fare danni, a volte anche considerevoli.

Negli ultimi anni, invece, è stata spesso presentata come la soluzione definitiva a molti problemi di business, la panacea per tutti coloro che il marketing non lo masticano. Sembra ormai radicata l’idea che grazie agli strumenti di AI chiunque, dal piccolo imprenditore al responsabile marketing di una grande multinazionale, possa fare miracoli: campagne pubblicitarie ottimizzate, previsioni di vendita, contenuti personalizzati e messaggi su misura per ogni singolo cliente. Tuttavia, dietro a questa visione decisamente rosea e forse un po’ semplicistica, si nasconde una realtà più complessa e, come spesso accade, anche le speculazioni di qualche guru del momento.

Come per tanti strumenti nati e presentati alla massa per semplificare la vita di chi quella roba lì non l’ha studiata (ne abbiamo parlato qui in riferimento a WordPress per i siti web), anche Chat GPT and co. vengono considerati dai più come gli strumenti per arrivare a fare cose che normalmente loro non farebbero. E in un settore come il marketing dove l’improvvisazione è, ahinoi, all’ordine del giorno, la situazione sta decisamente sfuggendo di mano a tanti.

Te l’hanno venduta facile, ma facile non è.

Le piattaforme digitali e i media mainstream tendono a comunicare un messaggio lineare: basta accedere a una piattaforma di marketing automation o a un software di analytics basato sull’intelligenza artificiale per ottenere risultati straordinari in pochi clic. Si parla di funzionalità plug-and-play, di strumenti che apprendono da soli senza necessitare di interventi umani e che, una volta impostati, offrono campagne mirate con una precisione quasi chirurgica.

In teoria, queste promesse non sono sempre prive di fondamento. Esistono effettivamente strumenti di AI user-friendly, così come servizi che offrono interfacce intuitive e workflow guidati. Tuttavia, la semplicità apparente non deve trarre in inganno. Senza una base di conoscenza solida, senza la capacità di interpretare i dati, di comprendere i modelli statistici sottostanti, di adeguare la strategia alle peculiarità del brand e del mercato, l’uso di questi strumenti rischia di generare risultati mediocri, se non dannosi.

Lo chiedo a Chat.

Ormai è diventato un amico, tanto da essere chiamato confidenzialmente ‘Chat’. Stiamo parlando, ovviamente, di Chat Gpt, il modello di intelligenza artificiale sviluppato da OpenAI basato su un’architettura transformer. Utile a chi deve creare contenuti, ha però dei limiti di cui non tutti spesso tengono conto. Lui stesso, interrogato proprio sulle sue mancanze, risponde in questo modo:

ChatGPT, pur essendo uno strumento avanzato e potente, presenta alcuni limiti che è importante conoscere per sfruttarlo in modo ottimale. Ecco i principali:

Dati di addestramento limitati

Conoscenza fino a una data specifica: la versione attuale di ChatGPT (fino a GPT-4) ha una conoscenza limitata ai dati utilizzati durante il suo addestramento. Ad esempio, fino a poco tempo fa la conoscenza si fermava al 2023. Ciò significa che non è sempre aggiornato sugli eventi recenti o sulle tendenze in tempo reale.

Nessun accesso al web: ChatGPT non può effettuare ricerche online in tempo reale (se non integrato con plugin specifici o strumenti come il tool "web"). Questo lo rende meno utile per ottenere informazioni istantanee su eventi o notizie in corso.

Risposte inaccurate o errate

ChatGPT non è infallibile: talvolta fornisce risposte imprecise, errate o obsolete. Anche se il modello è stato addestrato su enormi quantità di dati, non può garantire il 100% di accuratezza, soprattutto su argomenti complessi o ambigui.

Allucinazioni AI: in alcuni casi, il modello può "inventare" informazioni, citazioni o dati che sembrano verosimili ma non sono reali. Questo fenomeno è noto come "hallucinations" dell’AI.

Esempio: Potrebbe fornire riferimenti a studi o libri inesistenti.

Mancanza di comprensione contestuale profonda

Pur essendo eccellente nell’elaborazione del linguaggio naturale, ChatGPT non “comprende” realmente le informazioni come un essere umano. Si basa su modelli statistici per prevedere il testo successivo.

Se il contesto della conversazione è molto lungo o complesso, il modello potrebbe perdere il filo del discorso o fraintendere alcune sfumature.

Difficoltà con linguaggio ambiguo o creativo

Ironia e sarcasmo: ChatGPT fatica a interpretare toni ironici o sarcastici, specialmente se il contesto non è chiaro.

Linguaggio soggettivo: quando una richiesta è ambigua, il modello potrebbe generare risposte non in linea con le aspettative.

Limitazioni etiche e censura

ChatGPT è progettato per rispettare standard etici: è stato programmato per evitare contenuti inappropriati, offensivi o illegali.

Limiti di discussione: potrebbe rifiutarsi di rispondere a domande su temi sensibili, etici o controversi, anche quando sono formulati con scopi legittimi.

Dipendenza dall’input dell’utente

La qualità delle risposte dipende dalla chiarezza e specificità della domanda o input fornito dall’utente. Richieste vaghe o mal formulate possono generare risposte altrettanto generiche o poco utili.

Personalizzazione limitata: ChatGPT non "impara" dalle conversazioni individuali e non può ricordare informazioni da una sessione all’altra (a meno che non venga integrata una memoria persistente).

Limiti nei calcoli e nell'analisi dei dati

Anche se può eseguire calcoli di base, ChatGPT non è progettato per fare calcoli complessi o elaborare grandi dataset numerici come un foglio di calcolo.

Risulta meno efficace quando viene utilizzato per analisi quantitative avanzate o reportistica dettagliata.

Bias nei dati

Essendo addestrato su dati raccolti dal web e da altre fonti pubbliche, ChatGPT può presentare bias (pregiudizi) intrinseci presenti nei dati di addestramento.

I bias possono riflettersi nelle risposte fornite, soprattutto su temi culturali, sociali o politici.

Limitazioni multimodali

Anche se GPT-4 supporta l'input di immagini, la capacità di comprendere dettagli complessi in una grafica o visualizzare immagini avanzate è ancora limitata rispetto a software specifici.

Limiti di creatività e originalità

Pur essendo ottimo nel generare testi coerenti e creativi, ChatGPT non può creare contenuti veramente originali. Si basa su schemi appresi nei dati di addestramento e tende a riutilizzare concetti esistenti.

Insomma bene, ma non benissimo.

Allucinazioni AI: controllare, controllare e ancora controllare.

A proposito di hallucinations il controllo dei dati forniti da qualsiasi modello di intelligenza artificiale generativa è sempre d’obbligo. È frequente la pubblicazione di contenuti che citano dati e/o fonti non esistenti, ma completamente inventati dall’AI (le famose allucinazioni, appunto).

"Il mercato e-commerce globale crescerà del 500% entro il 2025, secondo un rapporto pubblicato da McKinsey & Company". Peccato che non esista nessun rapporto McKinsey con questi numeri, e peccato anche che il content creator, che si è affidato a Chat GPT, e che ha pubblicato un articolo sul mercato digital globale e le statistiche di crescita degli e-commerce non abbia verificato la fondatezza della risposta ottenuta.

Questo succede perché ChatGPT basandosi su pattern linguistici, tende a fornire risposte coerenti con le domande, anche quando non dispone di dati reali. Perciò può succedere, come nel caso sopra citato, che inventi una statistica impressionante ma totalmente infondata. Inoltre, per rendere la risposta più credibile, attribuisce il dato a una fonte autorevole inventata, come McKinsey appunto.

Le competenze che devi avere se vuoi usare correttamente l’AI.

Insomma l’avrai capito: utilizzare correttamente l’AI nel marketing richiede una combinazione di competenze tecniche e strategiche, e se non lo riconosci, o stai negando un’evidenza oggettiva o hai tutto l’interesse a non farlo. Da un lato, devi saper leggere i dati e capire le metriche rilevanti. Sai cosa sono e, soprattutto, a cosa servono in un report analitico il tasso di conversione, il Customer Lifetime Value (CLV), il Costo per Acquisizione (CPA), il Click-Through Rate (CTR) e via dicendo? Avere dei numeri ma non saperli interpretare non ti servirà a nulla, peggio ancora chiedere delle metriche che non hanno un senso se non contestualizzate all’interno di una strategia pensata e ragionata a monte.

Dall’altro lato è fondamentale comprendere i fondamenti dell’AI, quali i limiti di un modello di machine learning, come riconoscere quando un algoritmo è in overfitting (ovvero quando impara troppo bene dai dati passati, perdendo la capacità di generalizzare), oppure come valutare la qualità e la pulizia del dataset utilizzato.

Un professionista del marketing che utilizza l’intelligenza artificiale – e sarebbe stupido se non lo facesse - non si limita a premere un pulsante, ma progetta esperimenti, definisce gli obiettivi di un test A/B, comprende se un aumento del CTR si traduce effettivamente in vendite, e sa come agire di conseguenza per migliorare ulteriormente la strategia. In sostanza interpreta i segnali di mercato e lo scenario competitivo e sa tradurli in ipotesi testabili. Chi non padroneggia queste competenze rischia di basarsi su output errati o fuorvianti, prendendo decisioni controproducenti.

Il grande problema con cui stiamo facendo i conti - e che riscontreremo sempre più - è quello che i tool nati per semplificare la vita a chi non mastica il digital marketing si sommino tra loro generando veri e propri disastri dal punto di vista digitale. Pensate banalmente a un sito in WordPress gestito da un non programmatore (situazione molto più diffusa di quanto si pensi), che si fa aiutare da Chat Gpt per fare le modifiche al sito stesso. Tutto bene finché si tratta di farsi consigliare rispetto ai plugin migliori per risolvere uno specifico problema, o alle istruzioni per installare e configurare il plugin in questione. Ma poi se il nuovo plugin installato entra in conflitto con un altro esistente o addirittura con il tema WordPress del sito? Oppure se un errore tecnico grave blocca tutto quanto, e c’è bisogno di accedere a file come .htaccess o al database MySQL tramite cPanel? ChatGPT può guidare nel procedimento, ma se si sbaglia qualcosa nei passaggi, il rischio di fare ancora più danno al sito è alto. E a quel punto sono dolori.

Un esempio pratico.

Immaginiamo un piccolo e-commerce di abbigliamento che decide di implementare un tool di raccomandazioni prodotto basato sull’IA. L’idea è semplice: “Se Amazon lo fa e funziona, perché non dovremmo farlo anche noi?” Il tool promette di incrementare le vendite suggerendo agli utenti articoli simili o complementari a quelli che stanno guardando.

Ma ecco lo scenario concreto: il proprietario dell’e-commerce non ha competenze specifiche. Attiva il tool senza definire chiaramente quali dati utilizzare o quali KPI monitorare. Il sistema, trovando una correlazione tra chi acquista cappelli e chi acquista sciarpe, inizia a consigliare sciarpe a tutti coloro che guardano cappelli. Tuttavia, non tiene conto della stagionalità, dell’area geografica del cliente, né del fatto che la maggior parte degli utenti accede al sito solo per comprare cappelli specifici senza alcun interesse per le sciarpe. Il risultato? Le raccomandazioni risultano irrilevanti, abbassano la qualità dell’esperienza utente e, anziché migliorare le vendite, le peggiorano.

Se invece lo stesso proprietario possedesse le competenze adatte, avrebbe saputo come segmentare il pubblico, impostare un test su un campione di utenti, misurare l’impatto delle raccomandazioni sul tasso di conversione e, allo stesso tempo, filtrare i consigli in base alla stagionalità (ad esempio, niente sciarpe in estate). Avrebbe potuto addestrare il modello su dati relativi a preferenze reali, stabilire soglie minime di rilevanza o, in alcuni casi, addirittura escludere alcuni prodotti dalle raccomandazioni. Tutti questi accorgimenti richiedono competenze specifiche, non basta avere a disposizione la tecnologia.

AI e strumenti automatizzati: non un sostituto, ma un potenziamento.

L’errore più comune è quindi quello di credere che l’AI possa sostituire integralmente la figura del marketer. In realtà l’intelligenza artificiale è uno strumento di supporto decisionale: aiuta ad analizzare grandi moli di dati, a individuare pattern nascosti, a testare più rapidamente ipotesi, ma non sostituisce la sensibilità umana, la conoscenza del contesto, l’interpretazione strategica. L’AI fornisce suggerimenti e input, ma l’ultima parola spetta a chi sa valorizzare questi dati, inserendoli in una visione a lungo termine. Possiamo considerarlo come un evoluto attrezzo del mestiere, ma per dare risultati deve essere maneggiato da chi il mestiere già lo conosce.

Il ruolo della formazione e dell’aggiornamento continuo.

Chi desidera utilizzare l’AI in modo efficace in ambito marketing deve essere disposto a investire nella propria formazione, o a integrare nel team figure professionali con competenze verticali in data science, analisi dei dati, modellazione statistica, UX e strategia digitale. Abbiamo assistito negli ultimi anni alla velocità con cui l’intelligenza artificiale evolve, i modelli migliorano, le piattaforme cambiano, e si richiede un aggiornamento costante. Non si tratta di imparare una volta per tutte e poi procedere in automatico, ma di una crescita continua, un dialogo permanente con la tecnologia.

Conclusioni

È facile pensare che l’AI sia un jolly universale da giocare per vincere facile. Ma la realtà è più sottile: l’AI è un moltiplicatore di capacità, non un sostituto della competenza umana. Senza una solida base di conoscenze, senza la capacità di interpretare correttamente i risultati e senza una strategia di lungo periodo, l’AI rischia di essere un’arma a doppio taglio. Chi sa come sfruttarla, invece, otterrà un vantaggio competitivo significativo, traducendo le potenzialità della tecnologia in crescita e successo di mercato.

Vuoi saperne di più? Vorresti implementare l’AI nella tua strategia ma non sai da dove iniziare? Parliamone e troviamo insieme la soluzione migliore per le tue necessità.

Ilaria Rossetti
Ilaria Rossetti
Sposa il marketing nel lontano 1996 e il sodalizio continua, come tutte le relazioni amorose tra alti e bassi, fino a qualche anno fa, quando capisce che senza il digital si sarebbe dovuta trovare un’altra occupazione. Scrive da tanto, ma nel suo cammino deve a un certo punto per forza fare i conti con la SEO. Oggi è una dei titolari dell’agenzia White Paper, e ha trovato un perfetto equilibrio tra storytelling e tecniche di posizionamento per contenuti digitali.
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